L'unicorno

Lorenzo Pompeo

 

Introduzione

Tirare fuori un ricordo sepolto è sempre una sorpresa: può essere piacevole ma può anche essere doloroso. Dipende da molte cose. Come, ad esempio, il percorso e la distanza. Se la traiettoria è stata discendente o ascendente. È come un'esca appesa ad un amo. A un certo punto, non si sa bene quando, come e perché, appare quel piccolo boccone di carne fresca che nasconde al suo interno l'efferato metallo. Poi comincia la danza voluttuosa del pesce, il quale vorrebbe afferrarlo ma senza farsi scorgere. In cuor suo già sa che quel congegno primitivo è lì, pronto a strappare le sue carni. Ma pensando di farsi scudo con la scaltrezza, si avvicina sempre più. Proprio ciò che fece quella mattina Luca, quando per caso, perdendo tempo prima di cominciare a la sua giornata di lavoro in redazione, si imbatté in quel logo. Si trattava di una agenzia di programmatori e di problem-solving per piccoli siti. Un dettaglio fu l'esca che attirò la sua attenzione: un unicorno stilizzato. Il motivo per cui ne fu colpito? Alcune cose possono essere pre-sentite ma non spiegate. Ma ciò avviene solo nel caso in cui si chiuda un cerchio. E in quel caso quel cerchio che si chiudeva assomigliava a una trappola. Dietro quel logo c'era un'amicizia. C'era Marco. Il suo compagno di banco per i primi anni del liceo, prima che Marco venisse bocciato. Luca invece si salvò per il rotto della cuffia. Ecco la prima trappola: il senso di colpa per essersela cavata e per avere lasciato alle spalle l'amico, il compagno di tutte le imprese calcistiche e di mille altre avventure-sventure. Bastò smuovere qualche tasto e qualche link per far saltare fuori Marco e tutta la storia della sua ingiusta bocciatura. Ma perché nascondersi proprio dietro a un unicorno? Potrebbe essere una semplice casualità, la scelta di un collaboratore, un socio o un altro personaggio esterno a questa vicenda. Invece Luca presentiva anche questo: era stato proprio lui, Marco, a tirare fuori quell'animale mitologico. Non c'era alcun motivo apparente. Ce n'era invece uno occulto. Ma ecco che sta per scattare la seconda trappola. Un meccanismo latente, e quindi molto più sofisticato del primo. Questa volta entra in gioco il sogno. Subito ci troviamo in un terreno frammentato, lacerato, a camminare lungo un cammino impervio e confuso. Malgrado l'arbitrio della memoria, i contorni sfuggono e sfumano. Ma ci fu un momento esatto in cui tutto ciò aveva trovato una sua collocazione. Sotto il tetto di un bungalow. Era la metà di giugno. Ci sono cinque ragazzi e una ragazza che dormono nei loro sacchi a pelo dopo una giornata di mare. Sono pieni di vita anche quando dormono, stanchi dopo una giornata di scherzi e di giochi. E non sanno quanto sia importante quello che sta succedendo proprio in quel momento.

Luca però se ne ricordò, molti anni dopo. Lui quell'unicorno lo aveva visto. Proprio lì, sotto quel tetto, in sogno. Ma perché il suo amico Marco lo aveva ritirato fuori? Cosa ne sapeva? Come aveva fatto a tirarlo fuori dalla sua mente, mentre lui, Luca, se ne era completamente dimenticato? Così come fanno i pesci che cominciano a girare intorno all'esca, anche Luca si lasciò scivolare nel ricordo di quelle due giornate di inizio estate. Scattò così la terza trappola, quella più pericolosa e infida: il rimpianto. Gli sembrava di avvicinarsi alla compiutezza di una giornata perfetta, di poterla osservare così come lo scienziato che appoggia l'occhio sul suo microscopio e finalmente trova la conferma del suo teorema. Quella sfera luminosa è lì, davanti a lui, può quasi toccarla. Solo che tutte le volte che prova ad afferrarla, quella svanisce. Ecco perché il sogno rimane l'unico rifugio sicuro, dal momento che l'indeterminatezza è la sua condizione naturale. L'unicorno è l'unica certezza, ciò che rimane di quella giornata tersa, piena di sole, di giochi e di parole. I ragazzi parlarono di tante cose. Qualcuno tirò in ballo la politica. Qualcun altro l'arte. Le parole singole si sono dissolte come neve al sole. Matteo aveva portato una chitarra. Sapeva gli accordi di una decina di canzoni, quelle che conoscevamo tutti e che potevamo canticchiare. Aveva provato a mettere giù qualcosa qualche cosa di suo. Ma era troppo timido per tirarla fuori. Noi tutti però sapevamo che in lui ribolliva la musica. Fece un tentativo con un disco. La morte del padre e la dura necessità di una famiglia, che aveva messo su troppo presto, fecero svanire quel progetto. Il suo talento, messo alla prova dalle avversità della vita, si dissolse anch'esso. Ma ripensandoci bene, anche in quel disco l'unicorno saltava fuori, nominato in una canzone. Collegare due fatti così lontani nel tempo può sembrare un azzardo, una congettura avventata e pericolosa al limite del delirio, ma se i fatti diventano tre, ecco che la salita trova un sentiero. Anche se non si sa esattamente dove porterà.

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